mercoledì 24 dicembre 2014

Vito, l'amore, Anna

Vito e Anna si erano sposati giovanissimi, si erano amati follemente per 4 giorni, al quinto avevano cominciato a litigare e per cinquant’anni non avevano fatto altro. Vito era alto come un albero, magro come uno del biafra, quasi pelato e bruttino assai. Anna era piccola e tonda come un bottiglione di vino, quelli che hanno la rafia tutt’intorno, si faceva bionda con l’acqua ossigenata e più del suo rossetto rosso ‘fuoco di passione’ amava solo lo smalto ‘oro di Amalfi’.  Vito e Anna vivevano in una casa in centro, con il giardino che dava sul parco comunale, le persiane aperte sulla città vecchia e sul campanello del portone c’era scritto ‘Vito e Anna’, senza uno straccio di cognome, che pareva non servire, a quei due lì. Dal lunedì al sabato partivano alle sette e mezza della mattina per fare la spesa. Giacomo, il verduraio, alzava gli occhi al cielo, ché il suo era il primo negozio visitato, e si sentivano le urla già dall’angolo della strada, perché Vito e Anna discutevano su tutto: “hai chiuso il portone, sei sempre il solito scemo, hai preso la borsa per la spesa, rincoglionita che non sei altro” e continuavano così, per comperare due pere, quattro mele, mezzo litro di latte e una fettina di carne. Anna pareva uscita dal circo Togni: aveva i capelli color crosta di pane acconciati in una croccia riccioluta, con fiocchi rosa che scendevano sulle spalle grasse, il rossetto rosso ‘fuoco di passione’ era distribuito su labbra e incisivi, così quando sorrideva pareva avesse appena mangiato qualcuno e le unghie brillavano di smalto ‘oro di Amalfi’, che tutti a chiedersi cosa avesse Amalfi di così dorato e c’era gente che c’era pure rimasta male, una volta visitata la città, perché se la immaginava come il paese del Re Mida, invece no. Vito sembrava un omino alto e dimesso, con la giacca color topo e i pantaloni di fustagno ma bastava aprisse bocca che subito si capiva che di dimesso aveva solo gli abiti: sembrava bevesse acido muriatico a pranzo e cena, da come rispondeva alla Anna. Che poi, diciamolo, sarebbero stati fatti loro e basta, non fosse che Vito e Anna li sentivi a cento metri di distanza. Anna una mattina si era svegliata col mal di stomaco. Vito le aveva urlato che aveva mangiato come un maiale ma la Dora si era voltata nel letto e gli aveva preso la mano: dovevano essere trent’anni che non succedeva una cosa così. Allora Vito aveva cominciato a stringere quella mano e chiamare, chiamare forte “aiuto, aiuto, aiutatemi”. Anna era morta ancora prima che lui cominciasse ad urlare e li avevano trovati così, mano nella mano, con Vito che piangeva e Anna che luccicava. Dopo dieci giorni Vito se ne era fatta una ragione: quella non era vita per lui. Vito se ne andò solo col crepacuore, seduto su una sedia di paglia. Li avevano sepolti vicini nel piccolo cimitero e avevano fatto un’unica targa con su scritto “Vito e Anna’, tanto dei cognomi di quei due nessuno si ricordava più.

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