sabato 20 dicembre 2014

D10S

Il calcio è un gioco di periferia: s’impara sulle serrande dei garage e le Fiat 127 parcheggiate. S’impara a prendere a calci un pallone con le scarpe buone della domenica e a ricevere colpi alle ginocchia senza sentirli, a rincorrere la sfera di cuoio giù per la discesa o ad arrampicarsi su per un pino, protetti solo dallo sfizio di governare con un piede il lancio del pallone. Scarpette coi tacchetti e superfici in erba arrivano tardi. Il calcio è un gioco da non smettere mai, rientrando a sera lorci e neri e con la voglia pronta di riprendere subito il mattino dopo quando hai dieci anni e il venerdì sera a mezzanotte col borsone pieno di panni sudati che il giorno dopo qualcuno a casa svuoterà. Il ricordo legato al calcio, al mio calcio è estivo, quando era bello da giugno a settembre scendere di nuovo in cortile dopo cena per darsi alle ultime rincorse. Il calcio è un gioco che s’impara anche da soli contro un muro tirando colpi al volo all’infinito. Solo nel calcio la periferia è serbatoio di talenti che resteranno solo ombre sul quel pezzo d’asfalto senza mai finire proiettate su un più illustre manto verde. Per ogni altra professione ci vogliono le Bocconi e le Oxford, ci vogliono gli accrediti forniti dall’appartenenza a un ceto e a un censo. Invece il calcio fa spuntare gloria fra gli accampamenti dei mortificati, al fianco delle discariche di Buenos Aires, sulle Ramblas a Barcellona. Viene dai vicoli fetidi di Napoli e da Quartoggiaro. Su tutti viene dalle tirannie fratricide il più felice guizzo guappo e prestigiatore del calcio di ogni tempo: Maradona Armando Diego, argentino come il tango, che è venuto a far sgranare gli occhi e spellare le mani dagli applausi al vecchio continente. Il suo piede sinistro è stato il più sofisticato strumento di precisione della geometria da Pitagora ad oggi. Venuto dal cielo come il Cristo e come lui con una certa quota di spreco dalla quale non si avrà mai grandezza. Grandezza è anche infischiarsene dei risultati, delle somme tirate, badando di più all’attimo felice del palleggio, allo scatto, al passaggio. Non è stato solo talento, Maradona fu atleta fin troppo avanti coi tempi: Napoli l’ha avuto nei suoi anni Ottanta, nel tempo in cui cambiava i connotati, si staccava dal sud per agguantare un lembo di nord. Napoli ha avuto Maradona non come re ma come anello al dito, quello nuziale. Napoli dopo di lui si è poi lasciata andare, sazia del trionfo, che è stato breve ma tanto lungo che ad oggi ancora ne gode. E’ il proprio il trionfo breve a restare perfetto nella memoria: non le stelle sulla maglietta ma un paio di scudetti e nulla più.

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